Enigma blog

Critica della rete, senza inibizioni

Geert Lovink Nel suo ultimo libro dà atto ai blog di aver chiuso il solco tra rete e società, ma ne fulmina la banalizzazione e normalizzazione» in atto
4 ottobre 2007
Bernardo Parrella
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Il web non è un luogo separato dal quotidiano vissuto. I blog non prosperano in una bolla d'aria sospesa sul pianeta. E anziché dar vita alla rivoluzione annunciata, troppo spesso i new media sono ripiegati su se stessi e abbracciano antichi modelli tecno-istituzionali. Questi alcuni capisaldi dell'analisi, tanto impietosa quanto cruciale, proposta da Geert Lovink in Zero Comments: Blogging and Critical Internet Culture, libro atteso e fresco di stampa in inglese (presso Routledge). Un volume di quasi 300 pagine assai denso e per molti versi controcorrente, ricco di spunti anche impopolari, impossibile da sintetizzare in poche battute. L'aggiornamento necessario e puntuale di quanto delineato nei precedenti saggi, ottimo carburante intellettuale per quella critica della rete che va raccogliendo consensi e partecipazione ben oltre gli addetti ai lavori. Una linea di pensiero che, pur riconoscendo ai blog il merito di aver chiuso positivamente il solco esistente tra internet e la società (soprattutto dopo l'11 settembre 2001), individua anche un processo di banalizzazione e normalizzazione di quelle spinte di cambiamento dal basso che hanno dato vita al fenomeno.
Da qui la necessità di dover (re)interpretare continuamente la cultura dei blog, come anche di sottoporre al vaglio della critica i tecno-libertari che continuano a dipingere «sogni di gloria», inesistenti e inattuabili. Smettendola, ad esempio, di innalzare i diari online ad alternativa dei media tradizionali, per descriverli invece «in maniera più accurata come canali di feedback», scrive Lovink nel primo capitolo del libro dedicato a quello che lui chiama l'impulso nichilista del blogging. Impulso che è soltanto l'estensione naturale di quella auto-referenzialità che affligge tipicamente gran parte dei blogger nostrani. Ancora: la blogosfera, accusa lo studioso, non ha messo radici nel movimento sociale progressista, e pur criticando spesso duramente i mass-media statunitensi, mostra una tendenza generale a dividersi lungo la linea conservatore-liberale lasciando poco spazio a esperienze più radicali. Ciò rimane valido pur nel recente montare di blog politici dal grande seguito come Huffington Post o Daily Kos sull'onda delle nuove speranze progressiste verso le presidenziali Usa 2008.
Allo stesso tempo, metafore quali «l'esercito dei Davide all'assalto dei Golia» mediatici, tentano solo di oscurare il fatto che in realtà gli oltre 100 milioni di blog in circolazione raccontano ben altro, affermandosi come «tecnologia del sé» centrata sull'approvazione sociale, sfuggente a ogni etichetta e inscatolamento, ma tutt'altro che esente dalla manipolazione. Come viene confermato, ampliando il lungo e largo il viaggio nella cultura dell'internet odierna, dallo scenario della «new media art» in cui ci guida Lovink, ambito poco battuto dai più e che raggruppa una serie di micro-pratiche multi-disciplinari che da qualche anno vanno sempre più riccamente intersecandosi tra la scena online e gli ambienti dell'arte contemporanea.
Anche qui la critica si fa decisamente acuta, dalla discussione di casi specifici (su progetti di realtà virtuale ed arti elettroniche) alle potenzialità del social web nel fornire strumenti e opportunità per l'analisi dell'inconscio collettivo operante attraverso nella sfera mediatica. Seguono altre incursioni non meno intriganti: sulle intricate vicende legate alla costruzione di una teoria dei media in Germania, sugli esperimenti digitali in Olanda (dalla rete xs4all a De Digitale Stad al design urbano sostenibile grazie all'informatica), sul flop del fuso orario globale proposto dalla svizzera Swatch (quando invece l'economia dell'attenzione suggerisce maggior coscienza sulle diversità di orario dei soggetti coinvolti in progetti collaborativi, ad esempio), sui new media indiani (enfatizzando l'espansione del dialogo interculturale e la nascita di nuove energie di condivisione trans-nazionale). Questi e altri percorsi che, variamente intrapresi dall'autore, aprono il sipario su un palcoscenico contemporaneo assai più complesso e intricato di quanto vorrebbero farci credere certi cyber-entusiasti, mettendo a nudo una critica della rete, e per estensione una teoria democratica, che deve ancora riconciliare parecchi dei suoi elementi portanti. Di pari passo a una pratica centrata sui network organizzati, dentro e fuori internet, capace di inglobare e superare quelle che sono null'altro che fasi transitorie verso una maturazione più condivisa.

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