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Gianluca Antonacci descrive come in un videoclip una Taranto dalle esistenze a perdere

Vite a vuoto, sballo a vuoto tutto procede in perfetto disordine

«Tristi malinconici irrequieti. Rappresentavano l’ago della mia bussola. Un modo come un altro per orientarmi. Vediamo un po’... Quanti anni ho? Trenta. Cos’ho realizzato? Questo, questo e quest’altro. E loro?» Dalla quarta di copertina di «Tutto procede in perfetto disordine» di Gianluca Antonacci
13 novembre 2007
Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno

- Complice una presentazione nell’Osservatorio Luigi Ferrajolo – un bene culturale che andrebbe valorizzato e fatto conoscere – sono finalmente riuscito a procurarmi una copia del romanzo d’esordio di Gianluca Antonacci, Tutto procede in perfetto disordine (Palomar, 138 pagine, 12 euro), a Taranto praticamente irreperibile, benché l’autore sia tarantino-massafrese, il libro sia ambientato a Taranto e Palomar sia una casa editrice di Bari, non di Uppsala o San Pietroburgo. Tranne Dickens, per me disagevole da raggiungere, le altre librerie tarantine non ce l’hanno (e ad una l’avevo anche richiesto oltre due mesi fa...).

Un problema purtroppo assai serio. Tutto procede in perfetto disordine non è un libro «su» ma «a» Taranto e contro Taranto. Anche se astutamente l’autore premette al testo – una scrittura frammentata che si ispira ad una musica molto sincopata, più che un romanzo una compilation di videoclip, uno stile che potremmo definire cubista (cubismo sintetico, beninteso, e non analitico, abbondantemente contaminato di futurismo), uno sguardo che strizza l’occhio al minimalismo americano, una risentita presa di distanze da ogni bovarismo flaubertiano – una immancabile e stridente citazione da Orazio, sull’angolo di mondo che a lui più d’ogni altro sorride, e che, come sanno tutti quelli che han fatto il classico, è Taranto.

Un libro contro Taranto che s’apre con una dichiarazione d’amore per la martoriata città. Un libro come Un mare nascosto, per dire, o Il corpo e il sangue d’Italia? Come Terroni o Nud’e cruda? Come Un cuore di cuoio o Adesso tienimi? Antonacci respinge ogni similitudine. E per la verità anche le opere citate, peraltro distribuite su un arco temporale abbastanza vasto, sono assai diverse tra loro, come lo sono gli autori.

Li accomuna l’aver scelto Taranto come sede delle narrazioni (perché Leogrande e Ornella Bellucci fanno réportage, non fiction, De Cataldo e Argentina hanno scritto con Terroni e Nud’e cruda due pamphlet, mentre gli altri, di Argentina e Flavia Piccinni, sono romanzi), l’essere tarantini e l’essere molto, molto inca...volati con la loro città. Nei confronti della quale respingono la melassa omertosa di quanti sono davvero convinti che i panni sporchi, ove mai, si lavano in famiglia, che Taranto è davvero la più bella città del mondo e che, se non tutto va per il meglio nella migliore della città possibili, comunque tutto s’aggiusta, e in ogni modo, chi te lo fa fare?...

Antonacci, trentatrè anni, laurea in Estetica dieci anni fa, ha messo a nudo la vita vacua di post-adolescenti nella Taranto di inizio XXI secolo con occhio freddo, da entomologo. Si è documentato, al di là di situazioni che ha visto dal vivo. Poi ha però fatto un atto di creazione. Sposando Nietzsche ai minimalisti americani che gli sono cari, un pizzico di sperimentalismo nel dosaggio assai parco di punteggiatura o nel vezzo di iniziare i capitoli con la minuscola. Imbottisce le inquadrature di citazioni di griffes peggio di un cameraman corrotto, di quelli che ti sbattono nelle telecronache i marchi in primo piano.

Ne fa un uso alla Bret Ellis, ma si vede che ha letto No logo (peccato che l’autrice non abbia resistito a griffare No logo con la sua firma – pardon, col cognome di papà, Klein...). L’io narrante, Alex, in qualche momento magari gli somiglia, ma non è lui. Tutto procede.. non è una autobiografia – ci tiene a sottolineare. Non è di scuola Flaubert. Violenza a vuoto, bevute a vuoto, droga a vuoto, scopate a vuoto. Vite a vuoto irrigidite in microframes. Più degli scatti che un film. La tecnica di montaggio dei videoclip, appunto. E il messaggio? Ma insomma, possibile che non lo sappiate ancora? Il medium è il messaggio. Non c’è morale. Non c’è proposta. Non c’è nemmeno protesta. Marilina Mastrangelo e Maria Stella Semeraro contestualizzano, e mettono soprattutto in guardia dall’identificare Alex con Gianluca. Qualche insegnante fra il pubblico protesta una presunta non leggibilità di un testo così da parte degli studenti. Tanto quanto non è leggibile Medea, comunque. O Un uomo finito. O il Pasticciaccio. O il Codice di Perelà.

Ma oltre la scrittura sincopata – io parlo oscuro perché tu mi intenda – molti adolescenti e post-adolescenti, tarantini e no (i tarantini percepiscono in più una familiare ambientale sciroccosa abulìa), sono perfettamente in grado di cogliere nei frames di Antonacci qualche fermo immagine di vita loro, o di loro conoscenti. Non è sociologia. Non è giornalismo. E’ letteratura. Artificio. Antonacci non è un narratore ottocentesco; non è neorealista, neppure quando indugia crudamente su particolari veristi; non è impegnato, e non è neppure uno scrittore consolatorio, che ti prende per mano e ti guida nel leggere. Scrive per sé, e per dei lettori, non dei fedeli o dei fans.

E Tutto procede in perfetto disordine è un libro che merita di essere letto. Che poi possa provocare irritazione, dolore, reazione, indignazione o buoni propositi, è tutt’altro discorso. Quanto a Taranto, è comprotagonista. E per lei Antonacci non vede prospettive, comunque estranee al suo libro. Interrogato su che ne pensi, risponde citando un brano punk che lo intriga: no future. Non è necessario tradurre, credo...

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